Oggi, 25 maggio 2015, Star Wars spegne 38 candeline. Cosa sarebbe successo però, se questo di oggi fosse il 380esimo compleanno della Saga? Beh, probabilmente staremmo festeggiando la prima rappresentazione di un testo shakespeariano. Oggi quindi, vi parlerò della versione di Star Wars in salsa shakespeariana: perché sì, esiste, e anche se non è stata scritta dal Bardo in persona, è veramente un capolavoro.
L’edizione recensita è cofanetto William Shakespeare’s Star Wars.
- Titolo: William Shakespeare’s Star Wars
- Data di uscita: 02 luglio 2013
- Autori: Ian Doescher
- Edito da: Quirk Books
- Edizione: 176 pagine, copertina rigida
- Prezzo: € 11,78
Caratteristiche dell’opera
Inserire la trama in questa recensione è completamente superfluo, dal momento che questa non si discosta minimamente da quella del lungometraggio: è più interessante invece parlare della struttura del testo.
Il volume si apre con l’elenco delle dramatis personae, ovvero i personaggi della pièce, in cui ogni nome è affiancato da una minima descrizione (se avete mai avuto per le mani un libretto teatrale vi ritroverete facilmente); segue poi l’elenco delle comparse.
La vicenda vera e propria inizia nella pagina accanto, dove il coro, che si occupa di descrivere con sguardo esterno gli eventi salienti della trama senza affidarli alle note di scena, canta la sua versione della opening crawl.
PROLOGUE
Outer space
Enter CHORUS
CHORUS: It is a period of civil war / The spaceships of the rebels, striking swift / From base unseen, have gain’d a vict’ry o’er / The cruel Galactic Empire, now adrift. / Amidst the battle, rebel spies prevail’d / And stole the plans to a space station vast, / whose pow’rful beams will later be unveil’d / And crusch a planet: ‘tis the DEATH STAR blast. / Pursu’d by agents sinister and cold, / Now Princess Leia to her home doth flee, / Deliv’ring plans and a new hope they hold: / Of bringing freedom to the galaxy. / In time so long ago begins our play, / In star-crossed galaxy far, far away.
La narrazione è divisa poi in cinque atti e segue lo stesso andamento del film, anche in fatto di dialoghi. Alcune illustrazioni molto curate, il cui stile ricorda molta quello delle incisioni dei volumi seicenteschi, abbelliscono qui e lì il testo, senza mai risultare eccessive, riproponendo qualche scena e qualche personaggio in chiave elisabettiana.
Come ogni opera teatrale shakespeariana il testo è scritto in pentametri giamibici e presenta un cospicuo numero di arcaismi inglesi (thee, thou al posto di you; art al posto di are, hast al posto di has e via dicendo); anche la costruzione della frase rispetta quella tipica del teatro elisabettiano.
Cosa mi è piaciuto?
L’idea
Tutti siamo consapevoli di quanto la vicenda di Star Wars sia epica e segua l’archetipo delle vicende cavalleresche; l’idea però di adattare l’intero film (anzi l’intera esalogia dal momento che sono già usciti The Empire Striketh Back, The Jedi Doth Return, The Phantom of Menace ed entro quest’anno uscirano anche gli adattamenti di episodio II e III) in un’opera di teatro elisabettiano è assolutamente soprendente. Nonostante certe forzature sul piano della regia (sarebbe stato difficile, se non impossibile, rappresentare questo testo nei primi anni del Seicento – basta pensare all’enorme quantità di scene diverse utilizzate che infrangono completamente due delle tre unità aristoteliche della tragedia, quella del luogo e quella del tempo – l’unità d’azione rimane invece intatta), risulta molto interessante provare a immaginare la rappresentazione del testo.
La lingua e lo stile
Doescher ha fatto un lavoro estremamente eccezionale sotto questo punto di vista; ogni verso è un perfetto pentametro giambico (il metro utilizzato da Shakespeare nelle sue commedie e nei suoi sonetti) e tutto il testo è ricco di numerosi arcaismi (non molto facili se non si conosce qualche base di letteratura inglese) che non sembrano mai essere lì “perché devono starci” ma sono invece perfettamente integrati con lo stile di tutto il testo. Vi consiglio quindi di munirvi di dizionario monolingua in inglese se non siete molto abili con l’inglese seicentesco. Come ho inoltre già detto precedentemente la sintassi segue correttamente lo stile elisabettiano. Nel testo, inoltre, si ritrovano frequentemente tutte quelle tecniche introdotte dal Bardo come il soliloquio e il dramatic monologue.
Le illustrazioni
Nello stile dei grandi incisori come Gustave Doré le illustrazioni, forse un po’ poche ma tutte molto belle, aggiungono un tocco di stile elisabettiano dandoci un’idea dei possibili costumi, che forse si sarebbero persi limitandosi alla sola lettura del testo.
Le citazioni
Doescher introduce anche alcune citazioni per i palati più fini, cambiando qualche parola o costruendo dei versi speculari a quelli più celebri delle grandi opere di Shakespeare. Ad esempio i primi versi del testo richiamano l’incipit del Riccardo III:
C-3PO: Now is the summer of our happiness / Made winter by this sudden, fierce attack!
GLOUCESTER: Now is the winter of our discontent / Made glorious summer by this sun of York;
Cosa non mi è piaciuto?
La forzatura di certi versi
Per quanto tutti i versi siano perfetti pentametri giambici, ce ne sono diversi in cui il metro è stato raggiunto ponendo troppi apostrofi per unire le sillabe, in modalità analoghe a quanto capitava che si facesse nei testi lirici e teatrali (o’er al posto di over ad esempio o tutte le ellissi della e nei verbi al simple past “prevail’d” invece di prevailed). Certi versi, dunque sono troppo forzati e risultano quindi anche difficli da leggere in metrica.
Il troppo frequente utilizzo del coro
Nonostante l’utilizzo del coro sia necessario per avere la descrizione di certi eventi, Doescher sembra utilizzarlo come cuscinetto, per aiutarsi a rendere certi eventi che con le semplici indicazioni di scena sarebbero risultati troppo scarni. Il coro, difatti, non era uno strumento particolarmente usato dal Bardo di Stratford.
La mancanza di note al testo
Non tutti sono grandi conoscitori di Shakespeare (per quanto a me piaccia, non ricordo tutte le opere a memoria, giusto quelle quattro cose imparate a scuola) e quindi tutte quelle citazioni di cui ho parlato precedentemente non vengono apprezzate a pieno, anche per certi termini fin troppo desueti si potevano, a mio giudizio, inserire delle note a pié di pagina. Aggiungere delle note al testo avrebbe sì fatto perdere all’opera quella sensazione di “Real Shakesperean Play”, ma avrebbe facilitato a molti la lettura.
Conclusione
L’opera William Shakespeare’s Star Wars strappa a chiunque ben più di qualche sorriso, agli studiosi del Bardo forse farà storcere il naso (o, al contrario, potrebbe intrigarli molto… chi lo sa!), ma sono sicuro che a qualunque fan della Saga, con un minimo di cultura letteraria e di conoscenza della lingua inglese, questo libro piacerà moltissimo.

Se decidete di comprarlo, orientatevi sul cofanetto contenente tutti e tre i volumi della Trilogia Originale, c’è dentro un simpatico poster e secondo me merita averli tutti insieme!
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